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  • AutorenbildCarmelo Leotta

La via della madre

La via della Madre. Oltre il dominio.




Prevalenza del patriarcato.


Tra gli archetipi del potere è il patriarcato ad aver prevalso in Occidente. Le forme della sovranità vi si sono conformate, e l'Occidente ha sviluppato le modalità di potere delle antiche civiltà patriarcali, intraprendendo un processo di sublimazione del Padre, che importa l'interruzione autoritaria della riflessione e del discorso, e ha condotto alle forme statali, in cui il potere si è potuto esercitare legalmente in forma totalitaria. Tale progressione di sublimazioni, che sarà chiamata la „via del Padre“, è il modo che sempre più esclusivamente compete l'esercizio dell'autorità, perché sempre più gli organi di potere, che devono la loro esistenza al perpetrarsi di questo processo, temono il suo rovesciamento. In particolare, il potere si attrezza in modo sempre più sofisticato per evitare l'avviarsi di uno sviluppo sociale conseguente alla capacità di ognuno di produrre asserti morali e alla possibilità di compiere azioni conseguenti ad una volontà propria che si sviluppa in continua relazione con una volontà comune e in conseguenza del suo coincidere in misura crescente con la volontà comune. Ciò che si realizza secondo un processo di rappresentazione e di assunzione delle rappresentazioni altrui che descriverò in seguito come „via della Madre“. La „via del Padre“ ha assunto la condizione di evidenza immanente,ponendosi come destino immutabile; ponendosi come unico scenario possibile può allontanare l'immagine del suo rovesciamento, ma non la sua possibilità.La „colpa metafisica“ dell'occidente è quella di essersi privato della possibilità di volere, sublimando il Padre, arbitro del desiderabile, nelle forme che il logos ha reso necessarie in virtù della sua finalità: la disciplina del vivere all'interno della società che tende all'annientamento dei propri individui e in definitiva di se stessa. I totalitarismi del Novecento hanno perseguito la tendenza all'annientamento completo attraverso l'annientamento progressivo dei „nemici“ del regime. La società occidentale attuale realizza l'annientamento attraverso il perseguimento di un falso positivo, ovvero il profitto. Il fallimento morale a cui la civiltà occidentale è pervenuta su questa via è espresso dalla disumanità crescente delle azioni dei regimi occidentali, espressa in primo luogo nell’induzione di conflitti bellici dislocati sull’intero pianeta. Tale belligeranza, spesso mascherata da umanitarismo o da proselitismo della democrazia, viene dichiarato a più voci necessario a mantenere in essere la civiltà occidentale stessa. Ragione, questa, che fa apparire le altre civiltà come luoghi di negazione della fede democratica, dichiarata ragione morale della civiltà occidentale, e smentita dall'annientamento progressivo dell'individuo al suo interno.

Limitazione della volontà nella civiltà occidentale


Allo scopo di limitare la riflessione ed il discorso individuale e collettivo, la civiltà occidentale ha assegnato all'individuo dei compiti sociali dal cui espletamento dipende il diritto all'esistenza, e a cui vanno finalizzate le proprie azioni. La finalizzazione delle azioni impedisce la prassi della volontà di accrescere la propria potenza, da un lato poiché le determinazione di un fine impedirebbe alla potenza di crescere successivamente al suo raggiungimento, dall'altro perché il mantenimento di una finalità determinata impedirebbe la considerazione della volontà altrui nell'esercizio della propria.La considerazione della volontà altrui non può avvenire istantaneamente, ma segue un processo di coscienza contestuale alla sua manifestazione e alla percezione ed interpretazione di tale manifestazione. Diversamente, il fine come oggetto determinato, è frutto di una riflessione limitata, e presenta le determinazioni denotabili della riflessione nell'istante del suo cessare. Nella sua durata, la coscienza della volontà altrui e la considerazione di questa (per ciò che ne emerge dalla propria coscienza) nell'esercizio della propria volontà, è continua ridefinizione sia degli attributi della volontà altrui che della propria, e nominando l'insieme degli attributi conoscibili della propria volontà come „fine“, esso viene continuamente ridefinito, contraddicendo continuamente le proprie determinazioni. Da cui, un fine stabilito, deciso sincronicamente, cioè separato (ent-scheiden) dalla riflessione infinita e inerente ad un determinato istante, che rimanesse uguale a se stesso, dovrebbe a sé adeguare la volontà altrui o la coscienza di essa, senza considerare gli attributi che la coscenza di essa ci restituisce successivamente all'istante in cui si è deciso di chiudere la riflessione. Alla luce di queste considerazioni, le dottrine basate sul perseguimento del bene come realizzazione di un'utilità, poggiano su un'idea di bene non conseguente ad un accrescimento della potenza.Per individuare le possibilità e le modalità della realizzazione di un bene di accrescimento, è necessario definire come realizzare la relazione di inclusione reciproca delle volontà. La manifestazione della propria volontà attraverso l'azione può invadere lo spazio della potenziale azione dell'altro e non rendere possibile il realizzarsi della sua volontà. Si necessita dunque di una azione che non impedisca l'azione dell'altro, ma che renda manifesta la propria volontà, così che l'altro la possa includere nella propria. Ciò che si dice comunemente „relazione tra i soggetti“, si profila qui come modo per indurre la relazione di inclusione reciproca delle volontà. La „relazione tra i soggetti“ così pensata, è la comunicazione. Essa consiste in azioni di raffigurazione della propria volontà, cioè nella produzione di soggetti materiali rappresentanti la propria volontà (significanti) da parte di un mittente, e di fruizione dell'immagine di tali oggetti (cioè degli aspetti sensorali utilizzati per comunicare) da parte di un destinatario. In un regime di comunanza della volontà, la distinzione tra mittente e destinatario, utilizzata dai linguisti, è solo teorica, poiché la attività di raffigurazione di un soggetto mittente è prodotto dell'influenza e della considerazione della volontà del destinatario. Per meglio delineare il processo di comunicazione e di espansione della volontà, attualmente in atto ma ostacolato dagli organismi di potere attraverso un monopolio dei mezzi di produzione delle immagini comunicative, considereremo lo sviluppo della forma di dominio attualmente più diffusa, cioè il patriarcato, e la funzione che l'immagine svolge al fine di perpetrare gli effetti della decisione del gruppo dominante.


Svanire dell'immagine materna.


Per fare apparire la via del Padre come destino dell'umanità,è stato necessario allontanare dall'universo speranziale, e progressivamente dall'ambito del possibile, la via della Madre. Ciò è stato realizzato attraverso l'abuso della proprietà dell'immagine della Madonna col bambino, di riattivare il desiderio di abitare il nucleo materno Madre-figlio. L'abuso si è compiuto sottoponendo continuativamente le masse alla medesima ed esclusiva immagine, inducendo la collettività alla sublimazione del suo contenuto. Conseguenze di tale sublimazione sono: il superamento e lo svuotamento della maternità come oggetto di coscienza e l'esclusione della Madre dall'ambito politico.L'induzione al desiderio continuo della madre, tramite la sua immagine, l'ha via via indebolito, fino a ridurlo ad una nostalgia (letizia trascorsa associata ad un evento difficilmente rivivibile). La diffusione dell'immagine materna più consistente è avvenuta ad opera della Chiesa cattolica attraverso il culto dell'icona mariana, che ha attribuito alla Madre una natura trascendentale, indebolendo via via la sua attualità. Ciò a beneficio del simmetrico significante paterno dello Stato nazionale, che ha assunto l'immamenza di un destino immutabile.Nell'inflazione dell'immagine materna si può ravvisare la volontà di elevare ad oggetto di culto l'originarsi della vita stessa, e di celebrare il vivente nella sua condizione di innocenza. D'altra parte la Madre rappresenta la promessa di sé, che l'agire secondo legge e non secondo volontà, rende irrealizzabile. E' il continuo fallimento della promessa di sé a sublimare la Madre nell'ambito del mito, e la giustificazione che la ragion di Stato offre al crimine, che sia umicidio di guerra o esproprio terriero, strappa l'uomo dalla condizione di innocenza. In tale criticità, che appartiene al cristianesimo, si può anche ravvisare una volontà di avvantaggiare il potere di uno Stato che a sua volta tuteli gli interessi del clero, ma si tratta di una tesi storica che esce dall'ambito di questa indagine.Riguardo al ruolo svolto dal pensiero laico nei confronti dell'indebolimento del gruppo madre-figlio, l'attualità del nucleo materno non definibile, secondo i canoni neopositivisti, come possibilità oggettiva, cioè come asserto il cui valore di verità viene stabilito intersoggettivamente. L'intersoggettività basata sul modello di comunicazione unidirezionale mittente-destinatario e non sulla comunanza di volontà si risolve ad una strategia per avvantaggiare la propria volontà, diversa da quella dell'interlocutore. Il modello comunicativo sopra citato implica necessariamente il dominio di un interlocutore sull'altro, poiché nella fase in cui il soggetto è destinatario, la sua volontà non vale nulla, mentre vale tutto il discorso mentre è mittente. In altre parole l'intersoggettivita neopositivista è vincolata dall'interesse al dominio e all'osservanza del diritto come insieme di leggi, il rispetto delle quali rende possibile il dominio. La Madre, di converso, è abbondanza in sè medesima, e non necessita di dominare per esistere; richiede al contrario che l'antagonismo tra i soggetti venga superato da una condizione di comunanza, così da assumere la dimensione di immanenza. In una realtà costituita intersoggettivamente secondo i canoni positivisti, la Madre è rimasta nella sua entità immanente di fatto, esclusa dall'esistenza di diritto. La Madre è stata alienata dalla costituzione del reale e confinata nella sua immagine attraverso un'inflazione della sua immagine stessa. Essa degenera, per la sua ripetizione, in „significante vuoto“, impoverendo via via il suo significato primo, cioè l'attualità del nucleo vitale necessario madre-figlio, sublimando la sua materialità all'ambito immaginario del mito.Geometricamente opposta è l'incarnazione progressiva del Padre, originariamente di natura più immateriale e vaga, avvolto nell'incertezza di essere i padri di un determinato figlio, indebolito dalla non partecipazione al nucleo materiale e necessario madre-figlio. Esso si incarnerà come immanente autorità civile, nonostante la debolezza della propria posizione, e non la Madre confinata alla trascendenza.Vediamo in che modo viene marginalizzato il ruolo materno nella società civile occidentale e come invece il Padre si concretizza fino a realizzare a sua immagine le forme statali. La degenerazione in significante vuoto della Madonna col bambino risulta dal veicolare il desiderio di godere dell'abbondanza materna in un discorso, che procede per associazioni metonimiche. Il primo passo di tale processo consiste in questo, che l'oggetto del desierio, rappresentato primariamente dal gruppo Madre-Figlio, viene discorsivamente sostituito (metonimicamente) con il mezzo per conseguirlo, cioè l'autorità paterna. Padre è colui che rende possibile la maternità, e la via del Padre consiste nel processo di rafforzamento dell'immagine del Padre, di cui la Madonna col bambino diviene metonimia crescente.Lo sviluppo del discorso così avviato ed orientato, procede attraverso metonimie successive, alimentate eroticamente dalla permanenza dell'immagine Madre-Figlio, che subisce via via attualizzazioni tecniche, ovvero adeguamenti all'attualità dei mezzi di rappresentazione, senza alterare la propria funzione. Lo sviluppo delle tecniche pittoriche e poi fotografiche e filmiche rendono sempre più esplicita la rinuncia alla chiusura del significante Madre-Figlio alla sua realizzazione storica, ed ogni „riattivazione“ portata dalle successive rappresentazioni, costituisce un passo verso la risoluzione del desiderio primario di partecipare al nucleo Madre-figlio nella sua rinuncia (nostalgia residuale), ovvero nel piacere passivo della sua contemplazione, privo di potenzialità azionali, unito con la tristezza dell'impossibilità di restaurarne l'attualità originaria.Lungo la via del Padre, l'immagine crescente dell'autorità del primo padre, incarnata dai suoi rappresentanti terreni, cioè i sovrani, si è così sovrapposta a quella decadente del Madre-Figlio, lasciandola sullo sfondo come continuativamente afficiente promessa, immagine permanente e autoindebolente di speranza non utopica. 1 Al perseguimento della via del Padre è accessoria la tristezza dell'irraggiungibiltà della Madre, che si accresce ad ogni mancato realizzarsi della sua perfezione. Il Padre eterno vuole umiltà e rassegnazione, tristezza eterna dell'impossibilità della Madre eterna.Gli Stati nazionali, le ideologie storiche e i totalitarismi, ciò che è stato chiamato „grande narrazione“, hanno costituito monumentali rappresentazioni del Padre, del dover fare ed essere per tornare al Madre-Figlio, immagini abnormi dell'umano stesso, ingigantito nei vari Leviatani.


L' esempio storico dell' immagine leviatanica degli Stati Uniti d'America


La realizzazione dell'immagine statale più potente a cui siamo tuttora sottoposti è quella degli Stati Uniti d'America, che dal secondo dopoguerra solo ora sembrano arretrare La portata speranziale degli stati europei si è notevolmente indebolita dopo la Seconda Guerra Mondiale, ed essi hanno ricostruito il proprio carisma gradualmente. Interessa qui considerare come gli Stati Uniti d'America abbiano potuto esercitare un influenza così rilevante nonstante la discontinuità territoriale, e quanto questa sia stata anche tale discontinuità ad accrescere il loro carisma sull'Europa. Il fatto che essi abbiano esercitato un diretto potere economico e di intelligence in Europa è il motivo principale della loro egemonia, anche se non si può trascurare la straordinaria portata speranziale della loro immagine di spazio dell'autodeterminazine, espressa in una proliferante varietà di forme. Differenza importante tra l'immagine degli stati europei e gli USA è che i primi vengono ricostituiti su una base morale cristiana, forme leviataniche con una Madonna col bambino di sfondo, mentre nell'immagine di Stato prodotta dagli USA, manca il gruppo madre-figlio. Lo spettacolo pubblico del consumo, la pubblicità, ha occupato il luogo vuoto lasciato dal Madre-Figlio, precedente e a lungo unica immagine di pubblica fruizione, producendo immagini che inducessero l'identità cittadino-consumatore attraverso successive fasi di coscienza, e che lasciassero dietro la propria apparizione una durata occupata dalla paura di non realizzarsi di tale identità.2La pubblicità ha sovrapposto all'immagine dell'oggetto di desiderio primario - l'abbondanza materna - quella dei modi per riottenerla, metonimia progressiva che realizza la funzione strettamente paterna di veicolare il desiderio. Per svolgere tale funzione senza l'ausilio dell'immagine speranziale (non utopica) del gruppo Madre-Figlio, la pubblicità non ha potuto ereditarne da subito la natura di significante vuoto, in quanto la „catena equivalenziale“3 comprendente i significanti da essa impiegata era del tutto nuova, e il processo metonimico era al suo inizio. La pubblicità ha dovuto dunque costituire un corpo di rappresentazione primaria, e i suoi significanti hanno dovuto riempirsi del particolare umano. Essa si è arrogata, grazie ad una possibilità di diffusione materiale immane (la presenza capillare dei mezzi di comunicazione di massa), il potere di influenzare la persona indipendentemente dalla sua volontà (se non contro di essa), per causa stessa della sua appartenenza al gruppo sociale occidentale, in tutte le sue fasi di coscienza e di funzionalità sociale.Le fasi di coscienza su cui la pubblicità interviene più massivamente in ogni periodo storico corrispondono alle età della vita e alle relative funzioni sociali svolte dal consumatore più emancipato nella scelta di consumo. Perché sia effettivo il potere dell'immagine, di condizionare i comportamenti e le scelte di consumo, l'affezione da essa prodotta deve essere in grado di produrre una mancanza, un difetto del reale rispetto ad un modello appassionante, e che tale mancanza generi il desiderio di adeguarsi all'immagine fornita dalla „comunicazione“ di massa. Metto il termine „comunicazione“ tra virgolette, poiché il suo significato è ben diverso da quello definito precedentemente, in quanto si tratta qui del sottoporre l'individuo all'azione affettiva di una rappresentazione, senza che egli abbia modo di produrre una significazione nello stesso ambito e senza che vi sia alcuna comunanza di volontà tra chi produce la rappresentazine e chi ne è affetto. Scopo della „comunicazione“ di massa è quella di adeguare la volontà dell'individuo a determinati modelli di comportamento e di consumo, rigettando la propria volontà originaria. Scopo della comunicazione di massa è la realizzazione dello scopo per cui viene utilizzata dai suoi monopolisti, cioè gli attuali magnati dell'editoria e i gestori degli spazi pubblicitari, ovvero di restringere la possibilità di individuare oggetti e condizioni desiderabili ad un ambito da essi deciso e delimitato, in modo che la volontà si rivolga senza condizionamenti apparenti a quegli oggetti e a quelle condizioni, in virtù del loro apparire come uniche opportunità di accrescimento, cioè di piacere. Lo sradicamento: dalla desiderabilità del gruppo Madre-Figlio alla desiderabilità del Padre.

La passione generata dal gruppo Madre-Figlio, prevalente immagine di diffusione pubblica fino alla fine dell'Ottocento, era la speranza (non utopica), che ha motivato le masse all'ottemperanza delle leggi dello Stato patriarcale, andando in guerra, inurbandosi e migrando per avvicinarsi al totem. E' quella passione per un appartenere, abitare il luogo di una significaze collettiva, la speranza del contadino di non „essere dimenticato“ (Simon Weil), a sradicarlo dalla propria terra, per rincorrere il sogno di una grande madre che a tutto provveda, e all'interno del cui grembo si possa vivere la soddisfazione del „contare qualcosa“, farsi difendere dai sindacati, parti attive dell'organismo materno. La volontaria sottomissione delle masse agli spietati padroni di industria e agli altrettanto spietati sindacati, che hanno sempre ritenuto più vantaggioso prendere le parti di chi già godeva di una posizione privilegiata che difendere gli oppressi, è proseguita anche in regime di crisi e di recessione, seguendo evidentemente non un principio di convenienza economica e di effettivo benessere, ma la spinta mitica del raggiungimento della madre, alla cui immagine erano continuamente sottoposte. Ad infrangere il „sogno materno“ è il tradimento della madre-città, in cui gli operai vecchi e nuovi vengono facilmente raccolti e mandati a morire, per cui la madre non può più costituire immagine appassionante ed esercitare la sua carica mitica sul popolo proletarizzato. Forte carica mitica viene assunta nel cruciale primo dopoguerra dalla prospettiva dello sciopero generale promosso dal sindacalismo rivoluzionario, a cui si contrappone la possibilità di un relativo benessere legata al compromesso con il padronato, promosso del socialismo ufficiale. Decaduta con l'ecatombe della grsnde guerra l'attrattiva del gruppo materno, non poteva più il capitale confidare in quella spontanea sottomissione che aveva animato l'inurbamento della prima rivoluzione industriale, per cui si è pensato di indurre l'operaio a ragionare come il capitalista, e a divenire, sul piano ideologico, capitalista egli stesso.Il nuovo motore erotico costruito dal capitale e dai suoi complici socialisti agisce in senso opposto alla passione per la Madre, sottoponendo l'individuo all'immagine del suo dover-essere, consistente nella negazione dell’agire spontaneo (quello che segue la linea erotica primaria materna), nella quantificazione morale dell’agire e nel rifiuto della propria stessa istintualità primaria per paura di cadere nel peccato. Intendendo per peccato il contravvenire alle leggi della religione dominante, ovvero quella del profitto. L'operaio viene dunque dopo il primo dopoguerra irretito in una logica di antagonismi, per cui la propria speranza di egemonia poteva stare o nel rovesciamento della dominazione del capitale attraverso la spallata dello sciopero generale, o nell'adeguamento della propria volontà ad un'ideologia dell'interesse privato diametralmente opposto a quella collettivista del sindacalismo rivoluzionario. Di tale logica antagonista si avvantaggeranno i regimi totalitari tedesco e italiano, i quali, dandosi una iniziale immagine di partito proletario, fecero credere ai borghesi di essere un partito borghese. „Gli veniva facile, perché mentiva a tutti“4. Come è stato possibile riunire tutti sotto un'unica parrocchia? Evidentemente in ragione di una già precedentemente stabilita condizione di uniformità che ha reso la promessa totalitaria efficace su tutti i piani sociali. L'industriale, come il contadino urbanizzato, infatti, credono che il regime porti loro un beneficio che non ha a che fare con la propria specifica condizione. L'industriale ed il proletario allora vivono ancora molto diversamente, ma trovano entrambi nel denaro un interesse comune. Ciò che verrà chiamato interesse privato, non ha in realtà a che fare con ciò che privatamente, cioè separatamente, ha valore per ogni individuo, ma con l'entità che pretende di assumere valore per tutti, cioè il denaro. E' a questo „interesse privato“ che il contadino sottomette i valori assoluti che conosce bene, come la qualità delle annate, la disposizione produttiva di unterreno, l'effetto dei cicli lunari sulla crescita vegetale, cose in cui risiede una sapienza che la monetizzazione del tempo e la schiavitù del cottimo lasceranno dimenticare insieme ad un mondo che la città, luogo dell'esclusivo interesse privato, considererà privo di valore. Il totalitarismo è la menzogna che convince la società nella sua totalità, cioè in quanto inclusa in un'unica condizione, quella dello sradicamento collettivo operato precedentemente in ragione dell'interesse privato. È in questa fase storica che il Padre prende il sopravvento sulla Madre nell'attrarre a sé la venerazione delle masse.


L'aumento del Leviatano attraverso la comunicazione di massa


La comunicazione di massa nel nazismo ha avuto un ruolo primario, e la sconfitta del nazismo non corrisponde certo alla sconfitta del potere della comunicazione di massa, che aveva anzi dimostrato una fino ad allora inaspettata efficacia. La pubblicità del secondo dopoguerra ha prodotto una nuova immagine dei ruoli sociali, e vorrei osservare qui che i modelli di consumo e di comportamento rappresentati dalla pubblicità dal dopoguerra in avanti riposano su un concetto orizzontale della società, che tende a conformarsi sui valori borghesi dell'interesse individuale, apparendo come, in definitiva, interamente borghese. In altre parole, in luogo della precedente disposizione verticale dei ruoli sociali, essi vengono presentati su un piano paritario che si può dire „interamente egemone“, ovvero all'interno del quale è resa impossibile la lotta egemonica. Sulla disposizione verticale si era basata la lotta di classe e il mantenimento in essere dell'intera società attraverso la volontà di rivincita sociale e le violenze rivoluzionaria e reazionaria (funzionalità soreliana della violenza per al mantenimento dell'impianto sociale nel suo complesso). Dopo la seconda guerra mondiale la classe dominante occidentale ha l'opportunità di rifondare l'immagine della collettività, e lo fa collocando le tradizionali classi sociali su un unico piano illusoriamente egemone. La funzionalità della violenza per il mantenimento in essere della civiltà, comporta l'emergere di un impianto ideologico che trascenda le stratificazioni avvenute al suo interno. Era già per Sorel la necessità della conflittualità di classe e del conseguente esercizio della violenza, legge efficiente solo in compresenza di un motore speranziale trascendente generato da un'idea di abbondanza immanente, e l'alimento di tale speranza ancora l'immagine Madre-Figlio. In assenza di tale motore, la conflittualità porta all'implosione della società. A questo proposito è indicativo ciò che succede nella campagna russa negli anni '20 del secolo scorso, in cui i bolscevichi, in virtù di della strutturalità speranziale della classe operaia rispetto alla società a venire, rovesciano con lo zar anche l'immagine Madre-Figlio diffusa dall'ortodossia e la conscienza della maternità in atto della terra. I contadini, soprannominati sprezzantemente „kulaki“ (approfittatori), subiscono la rivoluzione e i bolscevichi gettano alle ortiche l'idea di abbondanza della natura e di ricchezza ecologica che i contadini potevano testimoniare e tramandare. La vuotezza ideologica dell'attualità dell'abbondanza contadina non poteva, del resto, che essere vista come una forza antitrascendente contraria alla diffusione dell'ideologia marxista e un avversario da abbattere.Il socialismo in Russia e il nazionalsocialismo in Germania si oppongono ed eliminano gli elementi forieri di un socialismo ecologico e paritario in atto: Rosa Luxemburg viene uccisa e la fase dittatoriale della rivoluzione russa non verrà mai superata. Il capitalismo, d'altra parte, ha trovato la sua piena giustificazione morale nel l'opporsi al proletariato, a seguito della radicalizzazione della lotta di classe. All'inizio della seconda guerra mondiale l'occidente non dispone più già da tempo dell'impianto speranziale bidimensionale (Madre-Figlio più Sovrano), ed il campo immaginativo collettivo è libero di accogliere nuove rappresentazioni. Il nuovo sistema semantico di autoraffigurazione collettiva si impoverisce ulteriormente dopo il conflitto: gli Stati, responsabili della tragedia umanitaria delle due guerre mondiali, hanno perso la credibilità paterna, che si basa su una promessa di benessere, e perdono il ruolo di padri. La speranza si catalizza su un nuovo principio di convivenza, in cui non c'è più posto per la lotta di classe; un nuovo collettivismo in cui, in assenza di un padre vigile e severo, gli individui si facciano ciascuno portatore di responsabilità. Lo Stato assolutamente vincitore, gli USA, prevale nella capacità di catalizzare la speranza in ragione della sua vittoria militare, come del tramonto delle due immagini speranziali precedenti: la Madre e la lotta di classe.5 Inoltre, esso è l'unico Stato a non aver ricoperto, sin dalla sua fondazione, il ruolo paterno di arbitrio sul desiderio, e per questo è in grado di fornire l'immagine di convivenza democratica che in Europa era stata, fino ad allora, solo pensata. Il nuovo imperialismo americano non offre nemmeno un'immagine paterna dell'autorità; si lascia semmai pensare come luogo del progresso, dell'autodeterminazione, del futuro, del sogno, e di altri „significanti vuoti“. Di contro, esso mette, attraverso la comunicazione di massa, l'individuo a confronto con modelli che compongo via via un sistema semantico di autoraffigurazione massificata.Il nuovo sistema non ha più nulla di eterogeno, e il proletario come il borghese subiscono un patriottismo necessario, da cui non usciranno mai con le proprie forze. Non c'é più una madre sullo sfondo a lasciar divergere lo sguardo da sé, in virtú di una possibilità di redenzione, e nemmeno di un padre che si stagli nitido su questo sfondo, ma solo uno sguardo paterno rivolto all'inidividuo e l'obbligo di rispecchiarsi in un'immagine di dover-essere. Immagine articolata, è vero, perché rivolta a tutti i ruoli sociali, ma appiattita su un unico piano rispecchiante, il quale costringe, pena l'esclusione dallo spettro sociale, la precedente classe privilegiata, la vecchia borghesia terriera ed industriale, a rispecchiarvisi a sua volta. Essa viene così privata, dal nuovo potere di un gruppo sovralocato – la parte di essa costituitasi monopolista dei mezzi di informazione, massoneria intellettuale in grado di produrre un immagine funzionale alla conduzione di un capitalismo di cui non si metta mai in discussione l'egemonia – della possibilità di produrre un'immagine autorevole e potenzialmente egemone di sé. La borghesia produttiva (industriale e terriera) rimane via via esclusa dal monopolio dei mezzi di comunicazione e dal potere intellettuale di produrre immagini afficienti la collettività. Subirà il fascino della monetizzazione, venererà il dio denaro a tal punto da assecondare una valorizzazione eterodiretta del proprio capitale e ad assumere in conseguenza di ciò una posizione instabile e subalterna. Solo la parte più avida e antisociale di questa borghesia, che abbandona il valore cristiano della fratellanza, e che da questo momento non si può più propriamente definire borghesia, è in grado di costituirsi parte attiva nella manipolazione dell'informazione e nella conseguente creazione del consenso per perseguire i propri interessi. La piattezza del piano rispecchiante che tale potere pone davanti a tutta la società è funzionale ad uniformare il linguaggio di massa, minimizzarne le differenze e così la capacità di misconoscere i messaggi rivolti alla collettività.Il padrone, il professore come il proletariato, vengono affetti dai messaggi pubblicitari, nel dopoguarra e fino alla post-modernità, attraverso immagini-modello, afficienti paura e non speranza. Immagini che operano secondo una direzione opposta all'immagine-speranza del Madre-Figlio, in quanto generano il desiderio di emulazione di un immagine-modello. A questo scopo, tali immagini assumono su di sé quella che era stata la dinamica significante dell'immagine Madre-Figlio, e, vedremo, ne ripercorrono la parabola di progressivo svuotamento. La pubblicità commerciale del dopoguerra si avvale di „significanti pieni“ per farsi metafora di un agire sociale; realizza raffigurazioni realiste, in cui il modello è pienamente incarnato da esseri umani impiegati esclusivamente a tale scopo, non resi celebri attraverso altri mezzi di diffusione (il cinema). Il „significante pieno“, della piena, carnale rappresentazione del ruolo sociale è strettamente metafora di esso e secondariamente sineddoche, se si considera la molteplicità degli individui ricoprenti quel ruolo e la singolarità dell'attore. Vediamo come tale significante slitterà metonimicamente fino a svuotarsi completamente.

La diffusione capillare del mezzo televisivo è stata la precondizione dell'emergere di una nuova egemonia culturale. A questo scopo è stato necessario che attraverso i mezzi di comunicazione di massa non apparisse un'immagine plurale di società, ma che l'insieme di rappresentazioni proposte si attenesse ad una monodimensionalità della concezione della vita umana, la quale si realizzasse solo seguendo una sequenza lineare di modelli.Per massimizzare l'afficienza del nuovo piano rispecchiante, l'immagine da esso proposta deve porsi sostanzialmente come unica possibile. Per questo risulta necessario neutralizzare la potenziale fonte di raffigurazione alternativa, cioè azzerare la produttività semantica della borghesia intellettuale, ed escludere dall'ambito del rappresentato soggetti non trascendibili, cioè le masse stesse.Allo scopo di rendere inattiva la borghesia intellettuale, possibile fautrice di un'alternativa, essa viene progressivamente esclusa dalla produzione dell'immagine-modello. La prima generazione di autori, che produsse in Europa una televisione di contenuto artistico e documentaristico negli anni '50 e '60, e una pubblicità in cui resisteva una narratività fine a se stessa, cederà il posto ad autori via via più consapevoli della natura metalinguistica del linguaggio televisivo, se non della sua funzionalità al potere. Conseguente a questo disciplinamento contenutistico e alla corrispondente spersonalizzazione dell'autore (che in America era già stata realizzata dall'industrializzazione della produzione cinematografica) è la privazione della borghesia intellettuale della sua egemonia culturale. La letteratura classica e la cultura alta in generale, precedentemente prerogativa della classe dominante, viene resa accessibile a tutti e, oltraggio massimo, utilizzata a fini commerciali.6Perchè la massa, intesa come maggior quantità immaginabile di individui, venga condizionato nei propri comportamenti e scelte di consumo, è necessario che il soggetto dell'azione-mito sia irraggiungibile, ovvero costituisca un modello stililzzato e ideale. Le figure rappresentate dalla pubblicità appartengono già all'universo sociale di recente creazione, sono già prodotti della nuova „ingegneria sociale“, forgiati su predeterminate scelte di consumo, quindi ulteriormente stilizzabili a figura mitica. Il nuovo piano rispecchiante rappresenta la casalinga, l'uomo d'affari, l'impiegato, mai l'operaio o il contadino. Figure, queste, appartenenti al panorama sociale precedente la mitizzazione della società stessa e forieri di un movimento tropico di significanti, o di „concatenazione equivalenziale“, secondo la terminologia di Laclau, di natura antitrascendente, che porterebbe alla coscienza di uno stato di necessità proprio del nucleo materno. L'accesso del proletariato alla nuova efficenza proliferante del significante riprodotto tecnologicamente sarebbe altamente pericoloso per il gruppo egemone, non tanto perchè comporti la possibilità di una riattualizzazione della coscienza di classe, quanto perchè possa riattivare una „catena equivalenziale“ di verso opposto all'azione metonimica e trascendente del mito. La riproposizione dell'immagine Madre-figlio come rappresentazione di un equilibrio tra le risorse naturali e le necessità, rivelerebbe da un lato l'eccedenza produttiva e il perseguimento del profitto massimale, modo non nuovo di costituirsi della base materiale del potere (quandanco assunto da nuovi attori), e dall'altro la effettività della Madre, come principio speranziale che non risulterebbe più sullo sfondo dell'immagine leviatanica, bensì emergerebbe in primo piano, priva dello schermo del dissolto Stato patriarcale.Considerando insomma ciò che la pubblicita evita sistematicamente di rappresentare, si può avanzare che a invertire il processo egemonizzante della nuova massoneria capitalista anti-borghese sarebbe un processo metonimico di natura mistica di verso opposto, che attivato dall'immagine Madre-Figlio genererebbe una proliferazione di significanti sempre più aderenti ad un senso di coincidenza tra risorse e bisogni (abbondanza) che delegittimerebbe il capitalismo nella sua epistemologia della scarsità.L'azione metonimica pubblicitaria/paterna minimizza la nostalgia del nucleo materno, o di affezione dalla sua immagine ancora prodotta dalla Chiesa cattolica. Tale affezione è ciò che Freud aveva chiamato „istinto di Nirvana“, ed era già residuale ai tempi degli stati nazionali, in cui Freud vive. Diventa nel dopoguerra ulteriormente residuale, ma sarà recuperato, al fine di identificare la realtà oggettuale con una condizione di abbondanza, in un epoca successiva, che si è detta post-moderna.La trascendenza indotta dalla diffusione materiale immane del messaggio pubblicitario consegue dalla impossibilità di poter aderire completamente ai modelli raffiguranti le funzioni sociali. I modelli vengono ancora espressi in modo allegorico, tanto che una parte della pubblicità commerciale si manifesta come divertissement di per sé piacevole. Questa „simpatia“ pubblicitaria, non sottrae la potenzialità minacciosa dell'immagine-modello. La paura indotta era quella di non essere in grado di ricoprirli, e di essere conseguentemente esclusi dalla società. Una paura, questa, che si rifà ad un identificazionie pre-romana della persona con la comunità mai completamente decaduto e in questa occasione puntualmente riattivato, ricorrendo la sua funzionalità di supporto materiale del potere in atto, in questo caso del capitalismo.La paura di non ricoprire correttamente il proprio ruolo sociale, in altre parole di non svolgere il proprio dovere, è conseguenza della libertà di scegliere, dell'angoscia primitiva di potere agire diversamente dal dovuto. Libertà è, secondo Spinoza, essere causa propria del proprio agire, possibile solo in assenza di altre cause. Includendo tuttavia l'uomo nella natura, allora l'uomo non appare più una causa prima, poiché esso esiste solo come parte di essa. Qui le prospettive si dividono, a seconda che l'uomo si consideri costituente la natura, e dunque la natura conseguenza (anche) del suo costituirla, oppure che l'uomo si consideri emanazione di una natura ad esso preesistente. Nel primo caso si considera l'uomo come Madre, di cui la natura è figlia, che diventa successivamente madre a sua volta; nel secondo caso l'uomo è Padre, seminatore di una natura che esiste prima di lui, e che gli dona il figlio. Nel primo caso l'uomo è causa di se stesso, dunque, secondo la definizione di Spinoza, libero. Nel secondo caso, causa dell'uomo è la natura, e l'agire in assenza di cause ulteriori alla propria non può comunque escludere la causa prima, esterna all'uomo, della natura, unica causa rimasta. L'agire per una sola causa è dunque esercizio di una libertà necessaria, che induce ad azioni che non possono essere diverse da come sono, concetto a cui converge la letteratura anarco-giusnaturalista, attraverso la riduzione ad un unico ente (la natura) delle cause dell'agire. La sopravvivenza di un tale modello, che prevede una distinzione netta tra una Via della Madre ed una Via del Padre, è messa in discussione dall'interdipendenza tra Madre e Padre. Non può darsi Madre senza Padre e viceversa. È tuttavia proprio questa interdipendenza a far sì che le due prospettive convivino ed entrino in conflitto, perché prevedono due tipi inconciliabili di potere. All'interno della prospettiva materna, infatti, potere è quello di emanare la natura da sé, inizialmente condizionati dall'intervento di un padre, e successivamente liberi da tutto, cioè facentesi causa propria di sé. La prospettiva paterna è invece quella di esercitare un potere sulla natura preesistente, che essa generi un figlio i cui desisteri non confliggano con quelli del Padre. Il Padre intende esercitare il potere anche laddove è la madre ad esercitarlo, cioè successivamente alla seminazione, quando la Madre emana da sé il figlio a costituire la natura. Dalla sovrapposizione dei due poteri , cioè dal loro rivolgersi ad un unico oggetto, il figlio, scaturisce la lotta egemonica che fa del patriarcato e del matriarcato due forme di società ciascuna delle quali esclude l'altra. Le forme istituzionali del potere sono rappresentazioni scaturite dalle forme primarie appena descritte, cioè derivanti da esse e messe in atto a seguito di un processo di rappresentazione. La paura di non aderire alla società (minaccia preconscia della sua dissoluzione complessiva) viene massimizzata dal potere capitalista sovraborghese attraverso i mezzi di comunicazione di massa e resa, al pari della natura per il giusnaturalismo, unica causa dell'agire, opportunamente e simpaticamente nascosta alla coscienza.L'unicità di tale causa di paura massimizza la paura stessa, poichè ogni affezione è più forte se operata da una sola causa, e viene messa gravemente in pericolo dalla possibilità di essere rappresentata. La rappresentazione della causa della paura, infatti, produce un'immagine che affice il soggetto a sua volta, e rompendo l'unicità della causa in una molteplicità, la divide nelle sue raffigurazioni e la rende pensabile. La paura scaturisce dall'incertezza della soddisfazione del bisogno, e l'effettività della prima ha origine nell'unicità o nella molteplicità della rappresentazione del secondo. Vedremo ora come la via della Madre costituisca la via della molteplicità della rapprentazione, mentre la via del Padre quella dell'unicità.


Sviluppi ideologici della rappresentazione


Lo stato di necessità decade nel momento in cui un bisogno produce, oltre all'azione necessariamente libera della sua soddisfazione, anche il ricordo dell'esperienza della sua soddisfazione e la prima rappresentazione del suo ricordo. La scena di caccia dipinta o incisa nel paleolitico raffigura l'esperienza, e in questa rappresentazione l'uomo paleolitico si rispecchia. Si danno a questo punto due possibilità interpretative della rappresentazione e due corrispondenti direzioni di sviluppo ideologico.

1. La prima, denotativa e amorale, si può riassumere nel predicato: „l'uomo ha affrontato l'animale e l'ha ucciso“. Tale interpretazione è di natura metaforica, poichè la rappresentazione è una metafora dell'avvenuta azione di caccia, della quale si espone l'attualità, una qualità irrappresentabile in sé, ma che essa esprime (tramite l'artefice raffigurante) in se stessa. Questa rappresentazione puramente metaforica, lo „stare per“ un'azione, non scioglie il suo seme irrappresentabile, poiché essa allude continuamente a qualcosa che essa stessa non può essere, cioè l'azione. In virtù del fatto che essa non può chiudersi in se stessa, la rappresentazione vive, cioè prolifera in nuovi significanti che non escono dall'influenza della qualità primaria irrappresentabile, e si possono considerare, a loro volta, raffigurazioni primarie. La primarietá di una raffigurazione è ciò che distingue da sempre la ricerca di una prospettiva primaria di percepire che oggettivizzi una qualità irrappresentabile, anche quando l'oggetto della raffigurazione è la dialettica e la perversione. Questa via di sviluppo ideologico e semantico, denotativo e metaforico, riposa sull'idea di uno sviluppo intrinseco dell'agire, e di una sua intrinseca noncuranza della quantità di risorse disponibili e necessarie all'azione (abbondanza), coinvolgimento vitale qualitativo proprio della Madre. Questo sviluppo risulta di ordine radiale, in cui ogni rappresentazione e corrispondente azione segue la precedente secondo un proprio „essere nella natura“, abitare l'abbondanza senza mediazione, e diverge alla generazione di uno spazio irrappresentabile immanente, che la filosofia del Seicento ha chiamato „Res extensa“.

2. La seconda interpretazione è di natura connotativa e morale, riassumibile nel predicato: „bisogna affrontare l'animale e ucciderlo“; essa aggiunge alla metafora della rappresentazione un valore metonimico, in quanto essa non è solo sostituzione del ricordo dell'azione e sua materializzazione, ma sta per il dovere di ripeterla. Tale interpretazione misconosce i limiti della qualità intrinseca, li trascende, e la proliferazione di significanti che avvia, riposa sull'idea di uno sviluppo estrinseco dell'agire e di una sua intrinseca insufficienza (scarsità). Vittima e ad un tempo custode della scarsità che regna al di fuori del nucleo materno è propriamente il Padre, compito irrappresentabile del quale è disporre le idee (attraverso le loro rappresentazioni) secondo un ordine lineare che conduca ad espletarlo, cioè ad un ricorsivo dover agire. La configurazione ideologica di tale forma di proliferazione dei significanti e dell'agire corrispondente appare dunque in forma lineare, in cui ogni azione, mossa dalle rappresentazioni delle precedenti secondo un proprio “essere nel dovere“, converge ad un'idea irrappresentabile ultima di Legge.









Tab. 1




Tab. 2


Confrontiamo i due modi in cui una rappresentazione primaria può essere interpretata e le direzioni in cui essa può proliferare in ulteriori rappresentazioni ed azioni conseguenti.La prima (materna) si può definire di tipo metaforico/artistico, e conduce alla produzione di una molteplicità di immagini metaforiche che raffigurano il bisogno. La Rappresentazione è, nella Madre, coesistenza di raffigurazioni e loro assemblamento con funzione significante, e motore di una serie di azioni possibili.La seconda direzione (paterna), segue invece uno sviluppo metonimico/ideologico; in essa si raffigura il bisogno già nell'azione di soddisfarlo, e la sua rappresentazione, ottenuta dalla coesistenza delle sue raffigurazioni, è la norma di cui le azioni si possono considerare attuazione. Interpretare la rappresentazione dell'azione passata secondo la via materna o la via paterna è stato l'aut-aut a cui le societá sono state continuamente sottoposte, e dai successivi esiti della scelta si è generata la razionalizzazione del tempo storico in forma di patriarcati e di matriarcati.Alle evoluzioni semantiche verificantesi nei due ambiti (metaforico/artistico nella Madre e metonimico/ideologico nel Padre), corrispondono due processi di coscenza propri di ciascuna via, i quali tendono ciascuno ad un oggetto diverso. Nella Madre le linee coscienziali-semantico-razionali divergono verso il concetto di natura crescente, uno spazio in continua estensione, di natura naturata che si determina via via secondo le rappresentazioni e le azioni che la occupano. La proiezione razionale di un seguito infinito di azioni propagate nello spazio naturale secondo direzioni divergenti e in continuo immediato contatto col bisogno e la sua soddisfazione, in un continuativo „essere nella Madre“, è una idea immanente di Natura, che esclude qualsiasi idea di „Res extensa“ cartesiana. La ricerca di un origine, di un primo movimento, della prima spinta del nous, che Anassagoramirabilmente rinunciò ad individuare, costituirebbe una proiezione fideistica, un'idea che trovi il proprio fondamento solo nel fatto di essere creduta. Tale proiezione appare attraverso un processo opposto a quello razionale. Mentre questo procede per successive distinzioni dell'ente e qundi procede alla sua progressiva separazione, il processo di ricerca delle cause degli enti è la progressiva riunificazione delle parti in cui l'ente si trova difisa in un determinato momento. Mentre il processo razionale procede ad un grado di certezza positivo e costante, poiché ottiene parti determinate da un'unità determinata, il processo opposto è da dirsi fideistico, perché solo in virtù di una fede stabilisce di riunire un frammento ad un altro in particolare, mentre stato sincronico di frammentazione non suggerisce alcuna informazione sull'appartenenza di due determinati frammenti ad una precedente unità. L'idea così costituita converge a quella di natura naturans, originante l'origine, la prima azione, cioè la nascita del tutto. Su un piano qualitativo astorico, la proiezione razionale e l'asserzione fideistica coincidino nell'idea di Natura.Specularmente, secondo la via del Padre la proiezione razionale di un continuativo „essere nella Legge“ si muove in verso concentrico ad un „Dovere“ morale assoluto e un orientamento teleologico dell'agire, mentre la volontà di rappresentare un'origine di tale orientamento, porta a postulare fideisticamente un „Dovere“ primario che costituisce l'intero spazio dell'agire, ovvero la condizione immanente in cui il dovere stesso si realizza attraverso l'azione, in grado di direzionare (einrichten) anche l'azione non ancora inserita in alcuna catena metonimica (cioè rispetto ad essa dislocata). In virtù della capacità del dovere primario di irradiare l'intero spazio dell'agibile, esso presenterà le caratteristiche geometriche di una topologia.

Libertà coatta e libertà significata.


La via della Madre si fa perseguimento volontario e sviluppo ideologico della rappresentazione attraverso la conoscenza del bisogno che la induce. Esso viene percepito nella sua soddisfazione, da cui non risulta mai separato, e che nella madre segue immdiatamente il suo emergere. La via del Padre prende invece avvio dalla ignoranza della possiblità di soddisfare il bisogno nella sua immediata emergenza, ed impone una sua marginalizzazione rispetto alla conformità ad una legge. La conoscenza del bisogno non avvantaggia l'individuazione dei mezzi per soddisfarlo né la sua iscrizione nell'insieme dei bisogni degli elementi di una comunità, bensì la dominazione dello stesso da parte del dovere primario, che si determina via via come disciplinatore dei bisogni particolari, come negazione del loro stesso emergere e come procrastinazione della loro soddisfazione.A questi modi di conoscere il bisogno corrispondono la via denotativa e connotativa di interpretare le rappresentazioni di cui prima, e così gli intenti di produrre le successive. La proiezione nel futuro dell'incerta soddisfazione del bisogno rimane inevitabilmente minata della paura che essa non avvenga. Data la primaria importanza della salute della collettività e della propria aderenza ad essa ai fini di una soddisfazione già in sé incerta, la paura di esserne esclusi affice l'individuo posto in questo stato di incertezza in modo consistente. La massimalizzazione della paura è risultanza del percorrimento della via del Padre; è lo sviluppo metonimico del principio paterno di differimento della soddisfazione del bisogno e di sublimazione del desiderio, attraverso cui la comunicazione di massa occidentale ha imposto all'individuo una condizione di libertà coatta, ovvero l'obbligo di esprimere il valore della libertà, il „fare ciò che si vuole“ come segno di appartenenza alla comunità, si risolve nella schiavitù verso la paura di essere esclusi dalla comunità, successivamente introiettata e di si cui è diventati via via sempre meno consapevoli.La permanenza in uno sviluppo metaforico seguente alla conoscenza del bisogno come elemento di un insieme significherebbe percorrere invece la via della Madre, e a rappresentare l'agire stesso come soddisfazione di un desiderio. Ogni raffigurazione appartenente a questo sviluppo avrebbe come unico ricorrente significato quello della possibilità di emergere di un bisogno o di un altro, all'interno dell'insieme dei bisogni conosciuti. Considerando il bisogno come elemento di tale insieme, esso viene riconosciuto tra altri possibili, viene distinto da altri. In altre parole, il bisogno conosciuto, colto dall'intelletto (il Verstand kantiano) o distinto dagli altri, (attraverso la ratio spinoziana) diviene, seguendo Spinoza, desiderio. Il suo emergere corrisponde all'emergere del bisogno aggiunto della conoscenza di esso come elemento di un insieme di bisogni, e la sua soddisfazione sarà condizionata alla capacità di riconoscerne l'oggetto. Essendo ogni desiderio emergente (con il bisogno) per causa propria di chi desidera, rappresentarlo è significare, ad opera dell'individuo, la sua propria libertà. Nell'atto di produrre tale rappresentazione, l'individuo che è continua emergenza di bisogni-desideri, vive secondo una propria volontà di realizzare la propria libertà, che ha appena significato. Rappresentazione e soddisfazione avvengono contemporaneamente, la rappresentazione consistendo nella produzione di un significante dell'oggetto del bisogno, e la soddisfazione nell'azione di raggiungimento dell'oggetto che la rappresentazione ha prodotto. In un regime di soddisfazione dei desideri, la volontà di rappresentazione è continua, e continua è la significazione di essi. Considerando la volontà come fatto incondizionato e proprio dell'individuo, e considerando la rappresentazione il risultato di una volontà, il continuativo impegno nella produzione di significanti (dei propri desideri) conduce alla costituzione dell'esistenza umana come l'esercizio continuo di una libertà significata. I bisogni liberamente scaturiti dall'essenza umana sarebbero infatti continuamente significati saturando uno spazio rappresentativo comunitario.


Conoscenza del desiderio nella civiltà occidentale


La significazione non è tuttavia un atto libero, poichè condizionato dai mezzi e dalle condizioni in cui la significazione avviene, e che condizionano la stessa conoscenza del proprio desiderio. Il mezzo è il linguaggio nella sua porzione socialmente utilizzabile, che subisce nel dopoguerra la riduzione ad una monodimensionalità, processo descritto ampiamente da Marcuse ne „Der eindimensionale Mensch“.Alla schiavitù della libertà coatta, modulo comportamentale determinato dalla minaccia di esclusione dalla comunità occidentale, basata sulla dichiarazione della libertà come di un valore fondante, si aggiunge la schiavitù di non poter esprimere i proprio desideri se non attraverso un linguaggio ridotto a un atto di significazione della propria stessa appartenenza alla comunità e di poco altro. La restrizione del linguaggio rende sempre più lontana la realizzazione della libertà significata di cui prima, e ha importanti ripercussioni sulla stessa conoscenza individuale del bisogno. La conoscenza del bisogno è inscindibile dalla sua nominazione, e questa consiste nel processo di riconoscimento del bisogno che si voglia conoscere all'interno di un insieme di bisogni già nominati, e quindi di riduzione dell'oggetto del desiderio alla sua rappresentazione. Il nome diviene così l'oggetto esperienziale in cui il bisogno si riduce attraverso la conoscenza di sé, e il desiderio (bisogno conosciuto) è il nome del bisogno ottenuto per distinzione da altri bisogni nominati. Il desiderio è dunque una fase negativa del bisogno, che conduce alla riduzione di esso all'esperienza di pensiero e di eventuale pronuncia del suo nome. Tale processo corrisponde a ciò che viene indicato da Freud come „investimento“ di un oggetto parziale di tutta la carica pulsionale iniziale. Tale modello si è evoluto poi nella scomposizione della pulsione stessa in pulsioni parziali, procedendo nel territorio semantico per opera di Lacan. Egli stabilisce che le pulsioni si accontentano di oggetti parziali (object petit a), che sostituiscono la „cosa perduta“, das Ding di Freud. Ed è come „cosa perduta“ che Freud interpreta il Nebenmensch, la „madre primordiale“, di cui il gruppo madre-figlio è l'estensione che comprende l'individuo sotto la forma del figlio. Per Lacan la „cosa perduta“, per esteso il gruppo madre-figlio, risulta dapprima impensabile, per radicalizzarsi ulteriormente come „vuoto nell'essere“. La Madre, essendo primordiale, viene concepita come trascorsa, e in quanto tale non è.Interpretando questo non essere come essenza, dire che la madre primordiale non è, significherebbe negarne la pensabilità. Consideriamo cosa scrive Copjec in proposito: „Non è che la madre sfugga alla rappresentazione o al pensiero, ma la jouissance che mi legava a lei è andata persa, e questa perdita svuota tutto il mio essere“7. Riferendo quest'affermazione di Copjec alla „cosa perduta“ interpretata da Lacan come „vuoto nell'essere“, si dovrebbe interpretare tale essere lacaniano non come essenza (perché la „cosa perduta“ rimane pensabile e rappresentabile), ma come esistenza, la cui mancanza svuota l'essere dell'individuo. Sulla natura ontica od ontologica di tale essere dell'individuo permane l'ambiguità, ma sulla natura ontica della mancanza della Madre non ci sono dubbi: la Madre non esiste più. Vogliamo negare l'esistenza della maternità in ragione di una distanza incolmabile con una interpretazione mitica di essa? Non è forse il mito generato dalla necessità di rappresentare il presente, e la narrazione in cui esso consiste non assume sacralità in virtù di una funzione descrittiva degli eventi, che altrimenti rimarrebbero indicibili? Freud era un medico e, come nota Marcuse, utilizza il linguaggio mitico per utilità metodologica: la riduzione dei „casi“ al mito-modello è del tutto strumentale. Credo che la filosofia analitica prodotta in seguito non abbia mantenuto la distinzione che rimane a fondamento del pensioro freudiano, tra essenza del caso (esprimibile miticamente) ed esistenza del caso, ovvero di ciò che si presenta al medico come problema da risolvere. Nella fattispecie i filosofi analitici misconoscono l'esistenza del caso, accogliendo il discorso di Freud, di natura squisitamente mitica e modulare, come un discorso chiuso, e non come ricerca di un mezzo per risolvere i casi. Sulla cui esistenza egli non ha bisogno di esprimersi, poiché già fondante il suo ruolo di medico, che prevale sull'indipendenza del pensatore. Recuperando l'emergenza continua del caso, l'esistenza della „madre primordiale“ in ogni madre carnale presente rende l'oggetto della pulsione non più sineddoche della „cosa perduta“, ma la parte raggiungibile del desiderio, conosciuto attraverso la distinzione di esso all'interno di un insieme di desideri possibili. Decisivo sarà osservare come tali insiemi si possano formare e come la cernita possa avvenire; e quando tali accadimenti seguiranno un iter che coinvolga un'intera comunità, essi assumeranno le caratteristiche di un sistema morale. Basilare per la costituzione di un sistema morale è dunque il modo in cui il bisogno viene conosciuto dall'individuo, cotestualmente al proprio ambiente.Parallelamente alla misconoscenza dell'esistenza della Madre, si procede alla sublimazione dell'object a, che conDeleuze diviene „espressione“ e „nome“ dell'intero. Il ruolo storico del Padre di disciplinare i desideri necessita di un „tutto“, da poter indicare attraverso i nomi dei desideri particolari, al fine di sciogliere la loro particolarità (e piena soddisfabilità) nell'indefinibilità di quel tutto (e nella sua insoddisfabilità). La filosofia greca si pone il compito di fornire del tutto una nominazione che si risolva nell'ambito del linguaggio e della logica, superando (aufheben) le narrazione mitica.


Il peccato originale come nominazione del Nous


La dirompente idea di un intelletto ordinatore superiore attanaglia il pensiero occidentale delle sue origini. Nel 6° secolo a.C. si posero le basi dello sviluppo di questo concetto che subì successive, continue elaborazioni. La prima intuizione di Talete, che tutto sia acqua, intende già lasciar convergere il particolare molteplice ad un'unità, nominata per metonimia. Ma l'Uno assume subito la facoltà volontaria di forza ordinatrice, l'attributo di unità immanente, prima denotata nell'acqua, si associa indissolubilmente ad una autorità, e la storia del Nous, il nuovo antico Uno, è la successione delle forme del Padre, il continuo apparire della sua immagine. Colui che orienta il caos verso un ordine (Anassagora), che stabilisce la causa finale del tutto, del tutto il motore immobile (Aristotele), sono nominazioni di un entità il cui nome greco è una parola in „diminuendo“, un suono che si chiude in un abisso ancora misterico, magico, ancora pieno di timore per l'ignoto e inconoscibile. E che tuttavia è un „colui che“, è una forza agente sull'universo. Diverrà il Dio monoteista, diverrà il tuono, si manifesterà come il tutto, come un dover essere giusto, e come l'unica possibilità di salvezza. Tornerà nel tragico secolo XX alla sua inimmaginabilità di abisso (Abgrund). Ed è ancora la sua prima formulazione ad essere profezia tragica, da cui lo stesso sua autore, Anassagora, si ritrasse terrorizzato.L'origine del Nous non è al di fuori di esso. È libero, cioè causa di se stesso. La sostanza caotica, polvere che consiste in particelle di tutte le sostanze, non contiene il Nous. Esso è esterno alla materia, e in conseguenza di tale estraneità, la materia rimarrà il luogo della contraddizione del divenire, la realtà non potrà essere che la contingenza di un rapporto intersoggettivo convergente, e l'oggettività il prodotto ontico di tale convergenza. La separazione tra sostanza e Nous è il presupposto dell'elevazione di questo alla condizione di Dio monoteista, della autorità e della inbindacabilità del Padre. Il pensiero platonico, che riempie il luogo dell'extra-sensoriale con idee distinte, così come il politeismo greco, sono a questo riguardo fasi di transizione tra un Uno assolutamente indeterminato ed un Uno esplicitamente paterno. La separazione tra una res terrena e conoscibile ed una res extensa inconoscibile è lo sviluppo patristico della distinzione anassagorea, che ci conduce poi al noumeno kantiano e alla „cosa perduta“ di Freud, per giustificare il perenne stato di scarsità della soddisfazione del desiderio e del pensiero stesso, destie corrisponde nella dialettica di Spinoza alla conoscenza particolare di un bisogno, ovvero a B+R.Se della raffigurazione si può dire che essa discenda necessariamente dall'insorgenza del bisogno e costituisca una geometria di un agire necessario, si può affermare che bisogno,raffigurazione ed azione siano in realtà una cosa sola, e distinguibili dall'uomo in virtù di capacità di razionalizzazione maturate molto successivamente alla nascita della rappresentazione. In sostanza, nell'ambito vegetale ed animale, non essendo possibile la rappresentazione, la distinzione tra B, R ed A è solo teorica. Vediamo in dettaglio come la rappresentazione sorge dalla possibilità di raffigurare diversamente. Dato che di un bisogno B si possono produrre diverse rappresentazioni R1,R2,R3,R..., se R1 diverso da R2 diverso da R3 diverso da R... allora R è sempre diverso da B, ad esclusione di una rappresentazione primaria, che coincida con la raffigurazione, che però risulta indistinguibile dalle altre rappresentazioni. Il grado di libertà uadagnato dalla raffigurazione (che in virtù di tale acquisizione si chiama rappresentazione) è in realtà il suo inserimento in un sistema più complesso rispetto alla linearità B-R-A del singolo individuo, ovvero il sistema delle rappresentazioni prodotte da diversi individui. Dandosi, infatti, per l'umano, una maggiore indipendenza della rappresentazione dal bisogno, essa si può muovere secondo una sua linea erotica secondaria, in cui possiamo riconoscere l'insorgenza dell'estetica, che traccia le direzioni di attrazioni esercitate da altre rappresentazioni.Più in dettaglio, se X non viene affetto dall'immagine del bisogno di Y, allora conosce solo il proprio bisogno. Sul piano originato dai due assi XY, vettori erotici agenti contestualmente al processo di razionalizzazione secondaria (vedi Tab. 3), A(x) interseca A(y) solo se X produce R(x) in seguito ad una sua affezione da parte di R(y). Una complementarietà tra bisogni di due individui simile a quella che avviene in natura, è condizionata ad una relazione tra le rappresentazioni dei loro bisogni che essi producono. Tale relazione costituisce lo sviluppo ecologico del linguaggio, che esprime i bisogni sotto la spinta erotica della costruzione di rappresentazioni comprensibili, principio costruttivo combinatorio identico a quello naturale. O per meglio dire ingerenza del principio costruttivo combinatorio naturale nella costituzione e combinazione dei la volontà che muove la sostanza, sia quella che muove il Nous non possono incarnarsi dunque in un soggetto umano, a meno che esso non sia capace di una volontà avente infinite cause. Ma una siffatta volontà sarebbe il volere ogni causa, cioè il porsi come causa di ogni causa, ovvero precedere anche la prima causa, che non esiste. O, più precisamente, di cui si può definire l'essenza ma non si può indicare l'esistenza. Oggetto, tale prima causa, di sola denotazione e non di connotazione. È nella descrizione dell'essenza della causa prima che si esprime il pensiero metafisico, che rimane secondo Kant valido solo quando si rivolge all'essente e non all'esistente. La confusione deriva dal fatto che ciò che resta fuori dal conoscibile è in parte sostanza inconoscibile, ovvero la res extensa, ed in parte l'idealità inconoscibile, ovvero il Nous, qui meglio aderente al concetto di Noumeno kantiano. La non appartenenza al conoscibile sfuma il confine tra esistente ed essente, perchè entrambi sconosciuti, al di fuori del segmento conoscibile. Ma ciò che dell'esistente non è conoscibile, appartiene ancora alla sostanza, infinita e conseguenza di infinite cause ad essa interne come cause materiali, ovvero esistenti. L'indagine delle cause di tale ordine non porta a stabilire che la causa prima, ovvero ultima nella catena di oggetti e funzioni motivanti, sia una volontà, poichè ogni causa è considerata necessaria. La necessità consiste nel fatto che ogni causa è sufficiente a produrre il proprio effetto, non richiede alcun intervento esterno per produrlo ed agisce in maniera imperturbata. La necessità è l'accadere non per volontà di alcuno. La conoscenza di un segmento di cause della sostanza, ovvero delle esistenze, si profila in questo modo come oggettivo, e lascia supporre che anche le cause sconosciute della sostanza, ivi compresa la causa sua prima, siano involontarie ed imperturbabili, dunque potenzialmente oggettive. Riguardo invece all'idealità, ovvero l'ambito delle essenze, ogni idea è una rappresentazione che viene prodotta secondo una volontà, ed è dunque perturbabile da chi la esercita, che può anche farla cessare come idea motivante altre idee. La volontarietà e non necessità del segmento di idee conosciute lascia supporre che anche le cause sconosciute delle idee, ivi compresa la loro causa prima, sia volontaria, ovvero esercitata da qualcuno. Questo ragionamento contiene un vizio. La causa prima, stando a questo ragionamento, esisterebbe sia per ciò che riguarda le esistenze che le essenze. Questo perché la causa di ogni essenza esiste, ed è la volontà di produrre la rappresentazione dell'essenza. Ogni essenza (che non esiste, e per questo appartiene al Nous) appare come rappresentazione, che è parte della sostanza, prodotta da una volontà. Se nell'esistente regna la necessità riconoscibile nel segmento delle sue cause conosciute, anche le rappresentazioni sono soggetti a tale necessità, che include anche la loro causa, ovvero la volontà di produrle. Ciò chiamavamo volubile, turbabile, variabile, instabile, è a sua volta imperturbabile, perchè la volontà, allorquando è causa di una rappresentazione, rientra nell'ordine dell'esistente. L'essenza viene dunque imbrigliata dalla necessità dell'esistente attraverso il suo apparire come rappresentazione. Mentre le esistenze continuano ad esistere anche al di fuori del segmento conosciuto, le essenze non possono esistere al di fuori del segmento rappresentato, ovvero pensato, quindi la causa prima del Nous non potrà mai esistere. Le essenze possono permanere in uno stato potenziale, ovvero si può supporre che sempre più essenze troveranno rappresentazione e dunque accesso all'esistente. Ma non deriva, la supposizione che esse trovino rappresentazione, dal necessario aumento delle rappresentazioni, legge dell'esistente? E non conduce, l'aumento irreversibile delle rappresentazioni alla progressiva dissoluzione del noumeno nell'esistente? Ciò si darebbe se la infinità della rappresentazione potenziale fosse maggiore dell'infinità dell'inconosciuto, e ciò non è, perché la rappresentazione, pur infinitamente in aumento, non è mai attualmente infinita, mentre l'inconosciuto è sempre in ogni momento infinito. Ogni discorso etico si muoverà tra i due casi limite di accettazione della marginalità del conosciuto e del conoscibile in rapporto all'inconoscibile, e l'immanenza del conoscibile come unico particolare di cui potersi occupare.


Conoscenza del bisogno


Queste due prospettive sono costituiscono due diverse interpretazioni del particolare, come di niente (o quasi-niente infinitesimo) e di tutto (o di quasi-tutto contemplabile). Rispetto ad un'evidenza originaria („ciò che è è, ciò che non è, non è“), le due interpretazioni non hanno alcun effetto sulla natura particolare del particolare, che resta il contemplabile e comunicabile contingente possibile in vita, ma rispetto agli sviluppi discorsivi abituali, le due direzioni interpretative veicolano due diversi sviluppi della coscienza e del suo apparato discorsivo, cioè dell'ideologia. Riguardo alla coscienza, il suo primo passo, che nei due casi viene eseguito in direzioni divergenti, è la conoscenza del proprio bisogno. Secondo la via della Madre e la via del Padre, l'uomo conosce il proprio bisogno in modo diverso, e dalle due vie scaturiscono due diversi tipi di desiderio.La fame avviene per causa propria del vivente in quanto vivente; egli solo è causa di essa e se ne può dire causa prima. Percorrendo la dialettica spinoziana, il bisogno diventa desiderio quando è consapevole di sé. Per diventare desiderio, dunque, il bisogno si deve esplicitare come un bisogno fra altri, appartenente ad un insieme, da qui la razionalizzazione dei bisogni, la necessità di farli coesistere con altri, il loro ricorrere nel tempo. La concatenazione storica dei bisogni corrisponde allo sviluppo del processo vitale accoppiamento-nascita-nutrimento, in cui da ogni bisogno (accoppiarsi) ne segue un altro (nascere) e da qui un'altro ancora (nutrirsi), e l'immediatezza di tale necessarietà realizza l'ideale „Essere nella natura“, ovvero la pura legge naturale, il realizzarsi dell ciclicità in cui si verifica la reversibilità della vita, di cui ho parlato nel cap. 1. Questa razionalizzazione primaria, cioè sempre riferita al fatto vitale primo (il bisogno), segue il medesimo sviluppo geometrico dell'azione nella topologia della via materna della costituzione dell'individuo-natura. Riducendo all'elemento A, che stava soltanto per „azione“, l'intera catena bisogno-raffigurazione-azione, otteniamo che i bisogni si sviluppano radialmente da un'altro bisogno, in uno spazio in cui, irradiandosi in direzioni diverse, si possono incontrare, cosa non possibile nello sviluppo geometrico dell'azione secondo il modello rappresentante la via paterna.Considerando la storicità della concatenazione bisogno(B)-raffigurazione(R)-azione(A), la linea storica dell'individuo X può intersecare quella dell'individuo Y in punti corrispondenti, per entrambi, a diverse fasi: X in B e Y in A, X in R e Y in B ecc.Considerato all'interno di un insieme così ulteriormente articolato razionalmente (razionalizzazione secondaria), l'azione per soddisfare il bisogno di un individuo può essere complementare coll'azione per soddisfare il bisogno di un'altro individuo. In tal caso una medesima azione soddisfa i bisogni di due individui.

Tab. 3


La complementarietà di A(x) con A(y) è del tutto casuale se A(x) non è veicolata verso A(y). Per il mondo vegetale e animale la Rappresentazione coincide con l'Azione, ed il destino è determinato dalla natura stessa della specie, per cui il bisogno è solo bisogno di mantenersi uguali a sè stessi. Da qui la staticità evolutiva delle specie animali.È destino della gazzella correre per sfuggire al leone, perché è essenza della gazzella l'essere leggera e veloce, in virtù della minaccia di essere predata. La predazione, azione del leone, incontra il bisogno della gazzella di dover correre per mantenersi gazzella, ed è frutto di una rappresentazione (calcolo delle traiettorie da percorrere, determinazione del momento di attacco) che corrisponde strettamente con l'azione, non esprime una volontà diversa da quella di soddisfare un bisogno immediato, per cui la linea storica che congiunge bisogno ed azione risulta ininterrotta, e la rappresentazione essere una geometria dell'agire che solo l'uomo può osservare e sistematizzare come distintivo e proprio di una specie.L'uomo distingue invece il bisogno dall'azione per soddisfarlo, la propria essenza non è mai definitiva e stabilizzata in un destino, perché la linea B-A, vettore erotico che conduce un bisogno alla sua soddisfazione, è interrotta da un'articolazione (R) che si manifesta come elemento distintivo, in grado di deviare la sua prosecuzione verso A. L'essenza morale dell'uomo, che lo distingue dal mondo animale e vegetale, sta nella non necessarietà della raffigurazione di un bisogno e nella conseguente distinzione della rappresentazione dall'oggetto rappresentato. Intendiamo quindi per raffigurazione una geometria prodotta necessariamente dalla gestualità dell'individuo per soddisfare un proprio bisogno. L'uomo si distingue gradualmente dall'animale producendo raffigurazioni in cui si può rispecchiare, ovvero metafore pittoriche dell'azione, cioè metonimie del bisogno, copie dal vero, la cui esecuzione discende necessariemente dalle capacità percettive e gestuali dell'individuo. È la possibilità di ricordare diverse raffigurazioni di un'azione a sottrarre il carattere di necessarietà al raffigurare, poiché l'esperienza della diversità delle raffigurazioni di un medesimo bisogno attraverso la metonimia dell'azione, rende possibile la varietà della raffigurazione. Raffigurazione cosciente della sua possibilità di essere diversa da se stessa è rappresentazione. La scelta di una rappresentazione all'interno di un insieme di rappresentazioni possibili è la prima fase in cui si esercita la volontà, e corrisponde nella dialettica di Spinoza alla conoscenza particolare di un bisogno, ovvero a B+R.Se della raffigurazione si può dire che essa discenda necessariamente dall'insorgenza del bisogno e costituisca una geometria di un agire necessario, si può affermare che bisogno,raffigurazione ed azione siano in realtà una cosa sola, e distinguibili dall'uomo in virtù di capacità di razionalizzazione maturate molto successivamente alla nascita della rappresentazione. In sostanza, nell'ambito vegetale ed animale, non essendo possibile la rappresentazione, la distinzione tra B, R ed A è solo teorica. Vediamo in dettaglio come la rappresentazione sorge dalla possibilità di raffigurare diversamente. Dato che di un bisogno B si possono produrre diverse rappresentazioni R1,R2,R3,R..., se R1 diverso da R2 diverso da R3 diverso da R... allora R è sempre diverso da B, ad esclusione di una rappresentazione primaria, che coincida con la raffigurazione, che però risulta indistinguibile dalle altre rappresentazioni. Il grado di libertà guadagnato dalla raffigurazione (che in virtù di tale acquisizione si chiama rappresentazione) è in realtà il suo inserimento in un sistema più complesso rispetto alla linearità B-R-A del singolo individuo, ovvero il sistema delle rappresentazioni prodotte da diversi individui. Dandosi, infatti, per l'umano, una maggiore indipendenza della rappresentazione dal bisogno, essa si può muovere secondo una sua linea erotica secondaria, in cui possiamo riconoscere l'insorgenza dell'estetica, che traccia le direzioni di attrazioni esercitate da altre rappresentazioni.Più in dettaglio, se X non viene affetto dall'immagine del bisogno di Y, allora conosce solo il proprio bisogno. Sul piano originato dai due assi XY, vettori erotici agenti contestualmente al processo di razionalizzazione secondaria (vedi Tab. 3), A(x) interseca A(y) solo se X produce R(x) in seguito ad una sua affezione da parte di R(y). Una complementarietà tra bisogni di due individui simile a quella che avviene in natura, è condizionata ad una relazione tra le rappresentazioni dei loro bisogni che essi producono. Tale relazione costituisce lo sviluppo ecologico del linguaggio, che esprime i bisogni sotto la spinta erotica della costruzione di rappresentazioni comprensibili, principio costruttivo combinatorio identico a quello naturale. O per meglio dire ingerenza del principio costruttivo combinatorio naturale nella costituzione e combinazione dei segni. L'emergere di tali rappresentazioni, mosse da due linee di forza (per X, B(x)-R(x) e R(y)-R(x)) costituisce il processo di Coscienza del Bisogno, riassumibile, secondo la dialettica di Spinoza, nel Desiderio.








Tab. 4



Se X si rispecchia nelle raffigurazioni primarie del suo bisogno R(x) e contemporaneamente in quelle del bisogno di Y, R(y), allora si dà una conoscenza del proprio bisogno ed una sua rappresentazione Rapp(x) che appartiene allo stesso ambito rappresentativo, ovvero è composta secondo elementi linguistici comuni. Se è la razionalità primaria della raffigurazione a produrre gli elementi primari del linguaggio (i sintagmi per il parlare), allora le rappresentazioni prodotte utilizzando un unico insieme di elementi R'(x), R''(x), R...(x), R'(y), R''(y), R...(y), appartengono allo stesso ambito di rappresentazione, ovvero sono comunicabili agli individui che le hanno prodotte. La rappresentazione del desiderio (prodotto della razionalizzazione secondaria del bisogno) è dunque un atto libero, perché frutto dell'inserimento nell'insieme delle raffigurazioni del bisogno, di proprie raffigurazioni (dovute all'esistenza del proprio corpo), e nello stesso tempo veicolato dall'utilizzo di raffigurazioni primarie prodotte da altri individui. La rappresentazione è il primo atto della volontà, in un iter storico che, tra l'individuo e la sua azione, non può non comprendere l'articolazione della rappresentazione del proprio desiderio.La Tab. 4 è un dettaglio della Tab. 1, laddove un azione A originata radialmente da un'agente A, incontra e coincide con un'azione A prodotta da un agente A dislocato dal primo. L'azione e l'agente tendono, secondo questo modello geometrico, a coincidere nel segno A, in quanto, nella continuità vitale dell'agire, l'esistenza stessa dell'individuo coincide con il suo agire. In Tab. 4 il tempo storico viene razionalizzato e descritto il processo per cui gli individui X e Y possono convergere all'azione A, e come emerge A in quanto agente ed azione in uno sviluppo topologico radiale ottenuto dalla reiterazione dell'enucleazione operata dalla Madre.Nella risoluzione dell'aporia del rappresentare possiamo riconoscere una prima fase dell'esercizio della Volontà (V(x,y)1), che porta complessivamente l'individuo alla sua azione. Una seconda aporia è costituita dalla possibilità di agire diversamente in funzione di una rappresentazione prodotta. In questo caso è la frontalità della vicinanza fisica dell'azione di più individui a consentire una valutazione di opportunità dell'agire, in cui, come per la determinazione della rappresentazione, agiscono un fattore endogeno (la possibilità di agire seguente alla propria rappresentazione) ed uno eterogeno, (la contiguità con l'agire altrui). Nella risoluzione di questa seconda aporia si può riconoscere la seconda fase di esercizio della Volontà (V(x,y)2) che porta alla possibile azione comune (A) degli individui (X e Y).Le azioni conseguenti a desideri frutto di rappresentazioni estensivamente afficienti si possono dire modi di agire, la cui ulteriore rappresentazione si può dire scoperta.Esaminiamo ad esempio la scoperta dell'agricoltura, operata dalle donne e causa della prima grande rivoluzione dell'umanità, la rivoluzione neolitica. In questo caso possiamo indicare con X l'essere umano e Y la natura, e il modello risulta prevedere una unica articolazione, precisamente in R(x), poiché in natura il bisogno implica necessariamente un'azione. R(y) è riconosciuta dall'uomo, ma non è la rappresentazione volontaria della natura, ovvero risultato di una scelta. R(y), ulterioremente, non condiziona A(y); se ne può semmai considerare una forma del suo manifestarsi. Un grande errore della civiltà imperialista è stato postulare che l'azione della natura avvenga in conseguenza di una rappresentazione che l'uomo possa influenzare, ovvero, nel nostro esempio, che A(y) discenda da R(y) ed R(y) discenda da R(x).L'invenzione dell'agricoltura consiste nel riconoscere R(y) e lasciar afficere da esso R(x), essendo B(x) la fame. Attraverso quest'affezione, A(x) (semina e raccolto) si direziona conformemente alla complementarietà con A(y) (crescita e morte vegetale). L'azione (A per Tab. 4) risultante A(x)+A(y), è un'accelerazione del processo naturale e una sua collocazione particolare. Riconoscimento di R(y) è possibile solo alla Madre, poiché ella abita la qualità della natuale abbondanza (A(y)) e può accogliere la sua manifestazione immediata. L'attribuzione della scoperta dell'agricoltura alla donna corrisponde, a mio avviso, al suo essere prerogativa dalla Madre. La rivoluzione neolitica è prova del potere della Madre, la quale perviene all'intuizione della possibilità di complementarietà senza ricorrere alla quantificazione delle risorse e dei bisogni, ma estendendo l'essenza qualitativa del nucleo Madre-figlio, natura naturans come nucleo qualitativo in sé abbondante.Prendiamo ora in esame ciò che avviene lungo la via del Padre. Lo sviluppo metonimico paterno si origina dall'estraneità del corpo del padre al nucleo abbondante e complementare Madre-Figlio. Egli non è affetto dal bisogno del figlio, ma ne è la causa materiale. La sua essenza di padre dunque non si attua nella soddisfazione di un proprio bisogno complementare a quello del Figlio, ma nell'essere riconosciuto Padre dalla Madre. A questo scopo il Padre si fa responsabile dell'aver causato il figlio e del suo mantenimento. A questo scopo egli aggiunge al bisogno del proprio sostentamento quello del mantenimento del nucleo Madre-Figlio, pur non essendone il suo corpo affetto. Egli è indotto a mantenere il nucleo Madre-Figlio, si potrebbe dire secondo la terminologia di Spinoza, da un'idea inadeguata, cioè non derivante da un'affezione del corpo. Tale inadeguatezza genera passione, ed è dominante nel Padre la passione di paura di non essere padre, somma di due incertezze, cioè quella di non essere riconosciuto dalla Madre e quella che il gruppo Madre-Figlio soccomba. È tale incertezza del proprio essere Padre a lasciar tendere il suo agire alla chiusura di un significato che ad un tempo realizzi e disciplini l'azione, ovvero ad un Dovere, una Legge.



Tab. 5

Il bisogno aggiuntivo incerto di mantenere Madre-Figlio B(m-f), sommato al bisogno certo del padre di mantenimento di se stesso B(p), genera la sua raffigurazione passionale, alimentata dalla paura dovuta alla doppia incertezza di cui prima. Se il rappresentare è, come detto a proposito dello sviluppo materno, assemblare raffigurazioni di bisogni con una funzione significante, e se il suo risultato è la conoscenza del bisogno, ovvero l'emergere del desiderio, allora il Padre non può conoscere certamente il bisogno. Assimilando P all'individuo X o Y in Tab. 4, tale stato di incertezza può essere risolto solo dalla riduzione delle raffigurazioni R(x,y) ad un'unica raffigurazione, escludendo la possibilità di considerare raffigurazioni di bisogni altrui nella propria rappresentazione e di avviare L'esercizio di un'etica che porti ad un'azione comune.La rappresentazione paterna accoglie la sua possibilità di essere diversa da sé con paura, poiché la molteplicità delle rappresentazioni possibili non è una possibilità di assemblare raffigurazioni altrui con scopo significante, bensì la perdita di una possibilità di chiusura di un significato e di una legittimazione dell'agire. Dato che il Padre conosce immediatamente l'incertezza delle raffigurazioni, le ulteriori raffigurazioni contengono per lui ulteriore incertezza, da cui l'esigenza di ridurle arbitrariamente ad una. La prima fase in cui si articola l'esercizio della Volontà V1 non è volontà di sommare le raffigurazioni R ma di sceglierne arbitrariamente una, che manterrà l'incertezza di non essere funzionale alla chiusura del suo significato. La rappresentazione ha nel Padre un carattere di caducità intrinseca che nella Madre non è, e l'azione che ne consegue denoterà l'incertezza dovuta all'arbitrio di ridurre le raffigurazioni. La Rappresentazione paterna ha ruolo riduttivo sulla possibilità, poiché risente dell'esingenza di eliminare l'incertezza; si risolve dunque in Norma, espressione di un dovere, esclusione del potere.L'affezione reciproca tra due individui, che nell'esame delle condizioni determinate dallo sviluppo B-R-A secondo la linea materna avviene tra le raffigurazioni dei bisogni, si sposta, secondo la via paterna, alle Rappresentazioni-norme. Dal confronto delle reciproche norme, tuttavia, non può risultare una norma in cui si sommino le norme particolari, perchè come detto l'elaborazione di una norma è sottrazione delle altre possibilitá, ovvero delle altre possibili norme. L'azione a cui un individuo tende, inoltre, è quella, tra le azioni possibili A(x,y) che maggiormente aderisce alla norma, rappresentazione di una raffigurazione ridotta e a sua volta restrittiva. Ogni individuo risolve la Volontà in una seconda fase che non consiste, come per la madre, in una valutazione di opportunità resa possibile da una continuitá fisica con l'agire dell'altro, ma da una valutazione quantitativa di maggior aderenza alla propria norma. Gli individui X e Y pervengono dunque ciascuno ad un'azione A(x,y) necessariamente diversa dall'altra.La convivenza sociale è comunque condizionata alla realizzazione e all'ottemperamento della Legge, ovvero ad una norma che disciplini l'agire di entrambi gli individui del modello di Tab. 4, in base alla quale non esiste più una molteplicità di azioni possibili, ma un'unica azione in cui gli individui convergano, in seguito alla prevalenza della norma di un individuo su quella dell'altro. Il confronto tra diverse norme si sposta ulteriormente sulla fase storica successiva alla rappresentazione, ovvero sull'azione. È l'individuo in grado di esercitare azione di maggior forza a divenire egemone, ed egemone diviene la propria Norma. La Legge è dunque la Norma egemone in virtù di un rapporto di forza ed è la forza dell'azione e non la sua opportunità a decidere chi determina l'azione sociale, cioè chi è l'individuo dominante.Utile è considerato qualsiasi strumento che aumenti la forza di un individuo particolare e ne determini o faciliti la dominazione sull'altro. Il beneficio della soddisfazione di un bisogno viene dunque subordinato alla acquisizione dello strumento, e la procrastinazione della soddisfazione corrisponde alla sottomissione di un valore assoluto (godimento) ad un valore relativo (acquisizione dello strumento per godere). Corrispondentemente, all'utilità assoluta dell'azione di più individui, congiunta dalla soddisfazione reciproca dei desideri, la civiltà del dominio oppone l' utilità relativa dei mezzi di dominazione. (Un'ulteriore relativizzazione dei valore dei mezzi per soddisfare i propri bisogni, operata su scale imposte dall'arbitrio di chi ha assunto precedentemente una posizione dominante, si sono determinate le varie forme di denaro). La stabilizzazione del regime patriarcale non sta nella convergenza dell'azione etica degli individui che ne fanno parte, ma nella continuità della violenza esercitata tra le parti. Tale continuità richiede che l'arbitrio originante le azioni venga reiterato per giustificare le successive, e cercherà conferma nelle rappresentazioni delle sue stesse azioni, e nella loro tale concatenazione, in cui ogni elemento è metonimia del precedente, sarà la speranza di chiusura del significato e conferma della funzionalità dell'agire al mantenimento di sé e del gruppo Madre-Figlio.Dato che l'arbitrio consiste nella riduzione delle raffigurazioni del bisogno, esso è di ostacolo alla conoscenza del bisogno da parte dell'individuo in cui sorge. Per essere conosciuto, e quindi originare così il desiderio, che è bisogno associato all'idea della sua soddisfazione, il bisogno richiede di essere rappresentato attraverso tutte le raffigurazioni a cui l'individuo perviene per propria volontà di rappresentare (V1). La via del Padre, dunque, non ammette nell'individuo il sorgere del desiderio.In un regime patriarcale, il modo più efficace di esercitare il potere è uniformare l'arbitrio che ogni individuo-padre deve operare sulle raffigurazioni del proprio bisogno riducendole ad una specifica immagine-modello. Così la civiltà del dominio ha prodotto, per svilupparsi e mantenersi tale, proprie immagini-modello, miti privati del loro sviluppo narrativo, realizzate in varie forme secondo i mezzi semantici di ogni tempo. Esso costituiscono per ogni società un punto di convergenza solo ideale dell'agire comune, poiché sosituendosi alla molteplicità delle raffigurazioni dei bisogni di ognuno, portano ogni individuo ad ignorare il bisogno e altrui e ad agire, come dimostrato, in modo necessariamente diverso. La convergenza, raffigurata in Tab. 2, ad un dovere unitario, è la causa prima della disunità delle vite degli individui.La restrizione dei propri desideri operata da se stessi o dalle immagini-modello impedisce all'individuo di essere libero nella società, ovvero di agire per causa di un proprio desiderio, nato dalle proprie raffigurazioni „aumentate“ di quelle degli altri.Se tale aumento di elementi raffigurativi comporta l'accrescimento della propria capacità di rappresentare, allora essa è, stando alla definizione di Letizia data da Spinoza, motivo di letizia.8Se, inoltre, la rappresentazione avvenuta in considerazione delle raffigurazioni altrui (razionalità secondaria) comporta la possibilità di partecipare della stessa azione, ovvero compiere azioni complementari ad un'unica azione, allora tale partecipazione opera un'accelerazione nel sorgere e nel soddisfare i propri bisogni, analoga a quella operata dalla coltivazione agricola nel bisogno della natura di procreare. Anche in questo aumento si può ben ravvisare, sempre tenendo per valida la detta definizione di Spinoza, un motivo di letizia.Se, a questo punto, si vuole definire una società felice quella in cui gli individui vivano lietamente, allora é felice la società in cui l'individuo sia in grado di desiderare secondo una libera attività rappresentativa in continuo aumento in un regime di libera circolazione delle raffigurazioni, e in cui l'azione sociale acceleri il sorgere dei bisogni e le loro soddisfazioni. Il ché mi risulta possibile laddove la vita si sviluppi secondo l'enucleazione materna sopra descritta.A corollario di questo ragionamento, la felicità è realizzabile riconoscendo e rappresentando l'“unità“ del genere umano. Essa si può esplicitare nel concetto di „natura umana“.Domandandosi in cosa essa possa consistere, Gramsci risponde:

Che la „natura umana“ sia il complesso dei „rapporti sociali“ è la risposta più soddisfacente, perché include l'idea del divenire: l'uomo diviene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali e perché nega l'“uomo in generale“.9

L'“uomo in generale“ è il concetto declinato dalle civiltà nelle diverse immagini-modello funzionali alla disaffezione di ognuno dalla rappresentazione di sé (attraverso i propri desideri), e la negazione di tale concetto inquadrata nella logica di antagonismo gramsciano, corrisponde nel nostro modello una sua irrilevanza, rispetto alla circolazione, alla presenza materiale dell'immagine dell'“uomo particolare“ e alla sua utilità assoluta.Assumendo, lungo la via della Madre, l'insieme delle azioni per soddisfare i desideri umani e i bisogni della natura di mantenersi, dignità di sistema, si può riconoscere in essa la realizzazione dell'immane individuo-natura di Spinoza, in cui tutte le sue parti comunicano il loro movimento alle altre, ovvero il loro bisogno di avvicinare od allontanare altri elementi. Comunicare una bisogno è precisamente ciò che abbiamo inteso per circolazione delle sue raffigurazioni.La conoscenza dei limiti di tale insieme costituirebbe la struttura di un logos solo minimamente ideologico, poiché opera di individui impegnati continuamente nella valutazione etica della propria azione, ovvero nella rappresentazione del desiderio come inscindibile dall'insieme. La rappresentazione aderirebbe continuamente alla visione dell'insieme e non avrebbe modo di mutarsi metonimicamente, ma si realizzerebbe in una catena di metafore primarie, cioè immediatamente riferite al bisogno (mancanza consapevole) e al piacere (sua soddisfazione).In un contesto sociale in cui la comunicazione, attraverso qualsiasi strumento, fosse opera dell'individuo posto di fronte ai suoi bisogni senza concetti intermedi, sarebbe possibile uno sviluppo retorico non ideologico, e il „complesso dei rapporti sociali“ sarebbe l'insieme delle comunicazioni dei bisogni, necessari a loro volta alla risoluzione dei desideri.Per Spinoza,

Quando più corpi di medesima o diversa grandezza […] si comunichino reciprocamente i loro movimenti secondo un certo rapporto, noi diremo allora che questi corpi sono uniti tra di loro e che tutti compongono insieme un solo corpo, ossia un Individuo, che si distingue dagli altri per quella unione di corpi.10

Conoscendo la natura per intero come insieme di corpi che si comunichino i propri movimenti, ovvero lasciandola aderire alla definizione spinoziana di individuo, è evidente che la natura extraumana è già capace di comunicarsi immediatamente i propri movimenti reciproci, in quanto ogni fenomeno è in natura correlato agli altri. L'inclusione dell'umanità nell'individuo-natura è condizionata alla capacità di comunicare degli uomini, cioè alla loro (lieta) produttività di immagini dei propri bisogni e al loro desiderare, e all'effetto accelerante di tale comunicazione e desiderio. Se considerassimo insomma l'uomo come parte della natura, e quindi riconoscessimo come qualità propria dell'umano quella di orientare la propria azione al mantenimento dell'individuo-natura stesso, la via del Padre risulterebbe essere una deviazione all'agire propriamente umano.


1Mi rifaccio alla definizione di Utopia come di speranza privata della sua incertezza. La speranza, tristezza attuale opposta ad una letizia prodotta dall'immagine di una idea lieta inattuale, quando vive nella costruzione di tali immagine, non lascia più tempo all'incertezza, sovrapponendovi una durata indefinita di attività di produzione dell'immagine. Utopia è, in tale accrescimento illimitato, destino di letizia e di bene.

2 Il contenuto pubblicitario è minaccioso, e vi si allude spesso allo spettro del perdente ed dell'escluso, la paura dell'infelicità è in essa ancora oggi un fattore costitutivo del suo messaggio. Uno spot pubblicitario di recente concezione recita ancora: „Perché essere soddisfatti, se si può ottenere di più?“.

3 Cfr. Ernesto Laclau, Morte e resurrezione della teoria dell'ideologia, in Le fondamenta retoriche della società, Mimesis, Milano 2017

4Simone Weil „La prima radice“. SE editore, Milano 1990, p. 79

5Riguardo al ruolo della figura materna a supporto della tribolazione proletaria, molto importante il film Metropolis, Fritz Lang, 1929, in cui il capitalista sa di dover telecomandare la figura materna (Maria) per poter manipolare il proletariato a suo beneficio.

6Cfr H. Marcuse Der eindimensionale Mensch.

7Cfr Copjec, „The tomb of perseverance: on Antigone“, p. 36

8 Cfr Benedetto Spinoza „Etica“, parte III „De affectibus“.

9Antonio Gramsci, „Quaderni del carcere“, „Che cos'è l'uomo“, in Q. VII

10Benedetto Spinoza, „Etica“, Definizione parte II „De mente“

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